LA STORIA DI PIAZZA CIAIA
Piazza “Ciaia”: la memoria e la pietra. Fatti e misfatti di vita cittadina
Da Osservatorio n. 12 dicembre 1987
Tav. I – Fasano nel Cabreo di Not. Andriani, 1748 (Arch. di Stato di Bari)
In una limpida mattinata ottobrina, nella luce profusa da est, chiara di trasparenze ancora estive e già illanguidita da molli dolcezze autunnali, la vita della nostra amata-odiata città si ferma per un attimo, come il respiro per un improvviso stupore: stanno per essere finalmente abbattute le lamiere di recinzione del cantiere che per circa sei mesi ha privato i fasanesi della vista e dell'uso della loro "Piazza" per antonomasia, piazza Ciaia, per la cui inagibilità i cittadini hanno sofferto di una viscerale mancanza come il neonato separato dal ventre materno soffre per il distacco della calda, oscura, liquida e rassicurante vita uterina. L "'evento", vissuto con un senso di "biblica" attesa, sta per verificarsi e per solennizzarlo si è creata, ai margini del perimetro, una piccola folla, una presenza quasi rituale che sottolinea in modo coreutica un avvenimento cittadino.
E di avvenimento si tratta se consideriamo quale importanza rivesta per i fasanesi questo quadrato delimitato da dignitose facciate di palazzi e dall'austero prospetto del Palazzo Comunale, come lo sentano proprio e come in esso confluiscano gli umori e le vicende di tutta la città; un'autentico ombelico al quale sono vitalmente legati e per il quale si esprime il loro vissuto di cittadini.
Ed ecco, caduto il metallico diaframma, riapparire in un'abbacinante candore il selciato della piazza, verginalmente rivestita dal bianco delle “chianche” che si rincorrono geometricamente, un grande tappeto di pietra per il salotto "buono" della città.
Il rito non si è ancora consumato: gli astanti sostano per un po', attratti dal bianco intatto della pietra, quasi timorosi di contaminarlo, poi si avvicinano e calpestandola esitanti come fosse la prima volta, se ne riappropriano fisicamente, traversandola da un capo all'altro, dapprima sparuti, quindi sempre più numerosi e sicuri, in un gesto collettivo di possesso.
Riaffermare questo possesso è allo stesso tempo un'esigenza e un ritorno, il rinnovarsi del particolare rapporto che ognuno di noi ha con questo luogo privilegiato della vita della collettività fasanese; un rapporto definito da secoli di storia, di tradizioni, di episodi piccoli e grandi, di vicende note ed oscure che ad essa legano la loro quotidiana drammaticità.
Cosi le suggestioni dei ricordi personali e collettivi ci conducono, viaggiando in una sorta di macchina del tempo, a ripercorrerne un po' la piccola storia in un itinerario sentimentale.
Siamo nel XVII secolo e Fasano, da Casale si è trasformato in un piccolo paese, che contando appena 300 nuclei familiari nel 1560, tutti dediti all'agricoltura, si va sviluppando demograficamente ed economicamente fino a raggiungere, nella seconda metà del '700: « ... una popolazione di oltre 7000 abitanti, prospere condizioni economiche, cultura diffusa nella classe preminente dei "galantuomini" composta di possidenti e dottori...».
Oltre la cerchia delle antiche mura, che racchiude la Terra, parte più antica della città, il nuovo Borgo va espandendosi, soprattutto verso est, con la costruzione di nuove abitazioni, palazzi signorili, la chiesa di S. Nicola, costruita appena fuori le mura e aperta al culto nel 1956. Rimane un'ampio spazio quadrangolare tra la "porta vecchia", quella dell'attuale ingresso a via del Bali, e i nuovi quartieri che nascono nel quadrilatero delimitato dagli attuali corso Vittorio Emanuele e Garibaldi: esso è la Piazza Nuova del Borgo, che si contrappone alla vecchia Piazze t la del Seggio e la sostituisce nella sua funzione di piazza principale del paese.
L'ultimo scorcio del 1600 vede però avvicendarsi per la nostra cittadina, tutta una serie di avversità: la pestilenza nel 1656, la carestia nel 1672, sommosse e rivolte, in tutta la regione, contro l'intollerabile governo spagnolo, e ancora, le scorrerie e le incursioni dei pirati turchi che affliggono le nostre coste. Ed è appunto la Piazza Nuova, teatro di una di queste incursioni, quella del 2 giugno 1678, che vede lo scontro tra i turchi invasori e gli ignari cittadini sorpresi nel sonno. Lo scontro è violento e rapido, la popolazione reagisce armala di schioppi, forconi, falci, asce; respinge l'attacco sferrato sotto le mura e in un'ultima drammatica battaglia, nella vallata delle Fogge, ricaccia gli invasori verso il mare.
L'alba del secolo dei “lumi” vede il nostro piccolo centro progredire nella cultura: con illustri figure di storici, prelati, uomini dotti; e nelle condizioni economiche: con la fondazione di chiese e conventi, la costruzione di case signorili e di numerose casi ne di villeggiatura.
La Piazza Nuova è già nettamente delineata (vedi tavv. I e II). Nella sua conformazione che rimarrà pressoché inalterata fino agli inizi del '900, dominala dal Castello Baliale, con le sue torri e la facciata illegiadrita dal bel porticato; delimitala dalle porte turrite, di cui una ornata dall'orologio pubblico. Dalla parte opposta la già citala chiesa di S. Nicola, il bel palazzo Pepe (ora Albano) e ancora facciata signorili. Ma nonostante il migliorato tenore di vita dei cittadini, i fasanesi, assieme agli abitanti di Castellana e di Altamura passano per i più facinorosi della Terra di Bari, come osserva il Galanti nella relazione del suo viaggio in Puglia intorno a/1789. A testimonianza di ciò, in un diario manoscritto dell'epoca, si legge di efferati episodi di violenza verificatisi proprio in piazza: «29 giugno 1780. Fu ammazzato verso le ore quattordici e mezzo Luca Riccardi in questa pubblica piazza ... con un colpo di coltello a fronda d'ulivo ... ». « … 19 luglio 1785. Giorno di martedì fu ammazzato Antonio Maria Leone, alias Sepparullo scarparo; d'anni 33 in questa nostra pubblica piazza, verso un'ora di notte, con un colpo di schioppetta e cortello (sic) ... ».
Non erano certo tempi tranquilli dunque, e travagliati furono anche gli anni successivi per le vicende politiche che videro Fasano coinvolta, di riflesso, nella Rivoluzione Napoletana del 1799 e nella successiva reazione.
Mentre il Capitolo, le Monache del Monastero di S. Giuseppe e S. Teresa e il Consiglio dei Decurioni, deliberano donativi al Governo Regio, per la difesa della religione e per arrestare l'avanzata dei Francesi, a Napoli viene nominato Presidente della Repubblica Partenopea proprio un fasanese, Ignazio Ciaia, alla cui illustre memoria verrà dedicala, un secolo dopo, la nostra piazza principale. Frattanto, ad opera di alcuni intellettuali e galantuomini, capeggiati da Francesc'Antonio Notarangelo, si è già costituito a Fasano il Comitato Giacobino che si contrappone animosamente al Partito Conservatore, di incondizionata fede realista, capeggialo da Titta Colucci senior. La contrapposizione politica assume a volle il sapore della sfida aperta, allorché i giacobini, resi audaci dalle repentine vittorie dei Francesi, si riuniscono in piazza e leggono entusiasti le lettere, con le notizie favorevoli alla Repubblica, che Ignazio Ciaia spedisce loro da Napoli, coinvolgendo cosi la popolazione.
Sull'onda dell'entusiasmo per la nuova Repubblica, si susseguono ovunque manifestazioni popolari di giubilo e si piantano nelle piazze gli alberi della Libertà, adornati di fiori e nastri tricolori; ma la festa spesso viene gravemente turbata dai tumulti e il sangue scorre anche a Fasano, dove l'agone politico ha alimentalo gli adii e i rancori tra i maggiorenti della cittadinanza, i quali si abbandonano alle violenze. Ed è appunto il giorno della Festa degli alberi della Libertà,il 7 gennaio l 799, ad essere ricordato per i gravi disordini che si verificarono in piazza nel pomeriggio: le due opposte fa zioni si scontrarono violentemente e per rappresaglia i realisti appiccano il fuoco alla casa dei Ciaia; al calar della sera, con il rientro dei contadini dal lavoro, si riaccende lo scontro, con saccheggi, incendi e sequestri di persona, tanto che i principali esponenti del Partito Giacobino sono costretti a fuggire.
Gli eventi precipitano e con l'avanzata del Cardinal Ruffo, i realisti che erano, a loro volta, fuggili all'arrivo del presidio francese, rientrano in segreto a Fasano e si abbandonano a feroci vendette.
Il 27 aprile 1799 i più accaniti tentano di abbattere l'albero della Libertà, issato in piazza, ma vengono esplosi contro di loro, da alcuni franchi tiratori, dei colpi di fucile che provocano un morto ed un ferito. La reazione è immediata e vede compiersi proprio in piazza, sotto la statua della Madonna del Pozzo, l'episodio più feroce di quell'insanguinato periodo: l'orribile linciaggio di Anna Teresa Stella, nobildonna d'ingegno vivace, militante giacobina, stimata dal popolo per la sua notevole cultura, così rara nelle donne del tempo.
Ella, trucidata per la sua fede politica, cade, vi/lima e martire per un ideale di libertà, come riporta A. Custodero: «Legata e posta alla berlina in mezzo alla piazza, fu falla segno a varie fucilate; ma non essendo morta un manigoldo corse con un coltellaccio da spietato tiranno su quella sventurata e con un colpo divise il capo dal busto. Indi, dopo aver fatto trascinare il di lei cadavere perla piazza, lo divise in più pezzi, e lo presentò agli altri ... ».
Trascorsi quegli anni burrascosi, la vita della città non fu scossa da eccessivi sussulti, nonostante gli enormi rivolgimenti politici e sociali del tempo, fino al 1848 anno fatale per tutta l'Europa.
Dopo la costituzione di una vendita Carbonara “I figli di Focione” e la sua trasformazione, dopo i fatti del '21 in “Giovane Italia” i liberali fasanesi continuavano a riunirsi e a discutere al Caffè Vitale, mentre le cronache registravano: l'intensificarsi delle perlustrazioni per la caccia ai briganti, frequenti passaggi di truppe, una famosa esecuzione capitale. Dopo la “Dieta di Bari” del luglio 1848 e la mancata costituzione di un governo provvisorio, il partito liberale si rende protagonista, a Fasano, di un episodio che, agli occhi della polizia borbonica, assume l'aspetto di una aperta ribellione allo Stato: alcuni giovani, marciando, entrano in piazza e per protesta strappano le liste di leva affisse nel porticato della Casa Comunale.
Il loro capo è costretto a nascondersi per sfuggire all'arresto e gli adepti del partito liberale restano in attesa di tempi migliori, e per non destare sospetti, costituiscono una banda musicale.
Con la caduta del Regno delle Due Sicilie, si vivono anni operosi di crescente prosperità economica; il paese si espande, si costruiscono importanti opere pubbliche e si passeggia come sempre in piazza (vedi tav. III), la quale, ancora per poco, conserverà il suo antico aspetto; infatti, è già in progetto la costruzione del nuovo Palazzo Comunale e il conseguente ingrandimento e sistemazione della nuova Piazza che con Delibera del Consiglio Comunale n. 70 del 3.10.1899, si decide di intitolare a Ignazio Ciaia, ricorrendo il centenario della sua morte e: «Poiché quindi dell'avvenimento che si sollennizza rimanda ai posteri ricordo di questa popolazione non seconda ad altre, sente viva la riverenza pel nobile sacrificio e l'uomo che questo personifica resti maggiormente scolpito nel cuore di tutti...».
La cerimonia di inaugurazione avviene il 15 dicembre de/1899 e il Consiglio Comunale approva il 13 gennaio 1900 il capitolato d'appalto per i la vori della pavimentazione della piazza, che su progetto dell'ing. Michele Sgobba, sarà basolata con pietra di Gianecchia.
Ogni opera nuova porta con sé qualche rimpianto per ciò che scompare, come l'antica "Loggia del cavaliere" ed infatti scrive Nino Ruppi: «... la sua piazza centrale, senza pretese ma di elegante euritmia (peccato che vi andò abbattuta la teoria delle medievali armoniose arcate in sopra elevazione, che ne costituivano il maggior decoro)»; e si legge nel Cabreo del Baliaggio di S. Stefano di Fasano del 1777: «Bello e veramente grandioso è il palazzo; mentre da un lato le sue finestre affacciano nell'antica piazza del Seggio, dall'altra guardano la nuova piazza del borgo; ... sopra dette botteghe vi sono quindici archi con cornice sopra e di sotto con balaustri, che formano un bel vedere ...».
Fino agli anni '30 la piazza rimase così, nel 1933, su progetto degli ingg. Raffaele e Giuseppe Tramante, si provvide a ripavimentare con l'impianto dei marciapiedi a mattonelle di cemento e rivestendo le carreggiate con mattonelle di asfalto, per sopperire alla « ... necessità manifestatasi per quasi tutte le strade di costruzione di ossatura per renderle atte al passaggio dei mode mi automezzi ... » come si legge nella loro relazione.
Il progresso ha le sue esigenze e il traffico, dagli anni trenta ad oggi è inverosimilmente aumentato sino a diventare paralisi.
A metà degli anni sessanta furono sostituiti anche i bei lampioni in ferro che ancora si vedono in una cartolina dell'epoca (tav. IV) e da allora la nostra piazza è rimasta così per altri 20 anni fino a quella mattinata ottobrina, per la precisione il 19 ottobre 1987, di cui parlavamo all'inizio. I lavori non sono però ancora completi, si parla di una nuova artistica illuminazione, sia per la piazza che per i corsi principali. Tra ricordi, polemiche e pareri di esperti e non, la nostra piazza va riacquistando un volto più elegante, mantenendo la sua fisionomia, cara a tutti noi e traccia di una solida, rassicurante continuità, sul filo sottile della memoria, verso le incertezze del futuro.
Antonietta Latorre
Tav. I – Fasano nel Cabreo di Not. Andriani, 1748 (Arch. di Stato di Bari)
Tav. II – Cabreo del Baliaggio di S. Stefano di Fasano, 1712
Tav. III - La Loggia del Cavaliere e l'antica piazza di Fasano (fot.
Colucci).
Tav. IV -Piazza Ciaia a metà degli anni sessanta.
Tav. V – Piazza Ciaia dopo i recenti lavori
di Redazione
17/12/2014 alle 11:44:06
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